lunedì 25 novembre 2019

2° Incontro: La paura della diversità


La paura della diversità

(Le scelte importanti non siano condizionate dalla paura)


Perchè la paura esiste


  • Dobbiamo tornare sul termine paura. Essa è una condizione emotiva che fa perdere lucidità: c’è chi scappa e chi si impietrisce. Nasce anche da una componente biologico-evolutiva, ok.
  • Sensazione che qualcosa minacci la nostra esistenza o la nostra integrità biologica o quella delle persone a noi più vicine. L’emozione della paura si proietta nel futuro: qualcosa di brutto accadrà a noi o agli altri, pertanto spinge il soggetto ad aggredire per eliminare o allontanare l’oggetto della paura (condotte aggressive) o al contrario fuggire da questo per evitare il danno che potrebbe procurarci (condotte di evitamento dall’oggetto fobico).



Consapevoli che la paura è in noi

  • Paura è una condizione che varia anche nellintensità. Essa influenza le nostre decisioni.
  • Oggi, almeno alle nostre latitudini terrestri, la paura non è più strettamente legata al pericolo immediato ed alla sopravvivenza, ma sono in atto da tempo meccanismi sottili di persuasione che inducono la paura. Sono meccanismi che toccano le nostre certezze consolidate per affermare che hanno una fine e che le previsioni di ciò che potrebbe accadere sono tutte negative. sinsinua un senso di impotenza davanti allincertezza.
  • questa è una paura che mina la nostra serenità e ci rende manipolabili, e possibili ferventi sostenitori di chi ci offre modi facili, infallibili per tutelare il nostro futuro e le nostre cose … è come se ci fosse offerto un salvagente a cui aggrapparci!

Possiamo fare in modo che la paura non guidi le 

nostre scelte?
  • diceva il Patriarca Cè in qualche suo scritto che se un uomo è sereno con se stesso e in armonia con ciò che lo circonda è meno soggetto alle paure. Una persona che domina le proprie paure compie scelte con maggiore libertà
  • . la paura del diverso nasce forse dal fatto che non riusciamo più ad avere un “sano conflitto” nella convivenza tra persone e nella società? Un dialogo anche duro tra persone presuppone infatti il rispetto per il proprio interlocutore ….
  • abbiamo cercato di capire quale può essere l'atteggiamento migliore da assumere con gli altri : non tanto quello di dover “vincere” oppure “negare” le paure, quanto piuttosto quello di contribuire a diminuire le paure nostre e degli altri (ad esempio dei nostri figli...); non essere noi fonte di paura.
  • Abbiamo pensato che a questo proposito, la Chiesa forse non è stata un buon esempio. Secondo interpretazioni storiche molte paure sono state alimentate dalla Chiesa nei secoli passati: pensiamo alla paura del peccato e della condanna all'inferno. Pensiamo all'idea di un Dio giustiziere vendicativo, anziché compassionevole e misericordioso.
  • Ma anche oggi, ci chiediamo, l'idea del Dio misericordioso finisce per non rassicurare (pensiamo alle critiche mosse all'attuale papa) alcuni fedeli, proprio perché apre a tutti, accoglie tutti? Non viene a ledere le nostre certezze, i nostri egoismi?
  • e allora … dobbiamo stare attenti a non confondere le cose. parafrasando una celebre frase evangelica.... diamo alla paura ciò che è della paura e all’egoismo ciò che è dell’egoismo! Dobbiamo ammettere che c’è un egoismo “di base”, culturale, che ci porta ad escludere a tagliare fuori anche chi è simile a noi, quando lede nostri interessi; le paure non devono rappresentare una scusa per nascondersi davanti alle proprie responsabilità verso i fratelli più prossimi ….
Facciamo degli esempi
Nel quotidiano della nostra vita esiste una condizione in comune che ci coinvolge sempre: la diversità. Ognuno di noi è diverso dall’altro e, anche se siamo sempre in contatto con chi vive vicino a noi, spesso lo definiamo con il termine di “diverso”.
Pensare al “diverso da sé” spaventa nel momento in cui si insinua il pensiero che quella diversità può nuocere ai nostri interessi o alle nostre posizioni consolidate , oppure ha la capacità di modificare in modo per noi non controllabile la nostra vita sociale o individuale.
La paura della diversità: l’etimologia della parola significa che siamo in presenza di caratteristiche, tratti, identità, tali da non essere conformi e quindi diversi da un soggetto all’altro se pur identificabili nella medesima tipologia. Parliamo, ad esempio, dell’orientamento sessuale, di condizione di disabilità psicofisica, di un credo religioso, fino a toccare l’etnia degli esseri umani.
Ma perché proviamo cosi tanta paura per chi consideriamo diverso da noi? Ci spaventa quello che non conosciamo e mettiamo in atto strategie difensive per evitare di entrare in contatto con la diversità. Ci manca la capacità di comprensione e tendiamo a cercare ciò che è più simile ai nostri canoni estetici, esistenziali, alle nostre credenze, come unico modello possibile di vita. Ogni altra caratteristica, che fuoriesce dalla norma in cui ci riconosciamo, viene etichettata, stigmatizzata e definita “anormale”. 
Presentiamo di seguito alcune paure riferite alla diversità

A) La paura della disabilità

Si può essere ostili verso la disabilità? Sembra impossibile nell’era dei diritti umani, eppure è così, perché la disabilità altrui ci ricorda la nostra disabilità. La disabilità spaventa ed è normale come prima reazione in certi casi; ma spesso è una reazione indotta culturalmente e che soprattutto deve trovare una risposta culturale, prima ancora che nelle leggi.
Tendiamo a chiamare “diversamente abile” chi è in una condizione di disabilità (un handicap fisico o psicofisico) per cercare di avvicinarlo nella sua condizione di invalido (es. non muove le gambe) a noi, a chi è autonomo e cammina senza nessuna difficoltà. Così possiamo dire siamo uguali, non siamo così diversi e la discriminazione non ha più senso. Una soluzione che in realtà non lo è. Non è così che si arriva ad una vera inclusione e accettazione.
  • Quali sono i luoghi in cui incontriamo la disabilità? In che contesti viviamo la paura per la disabilità?
  • In base alla nostra esperienza , nella scuola, ad esempio, ma anche in altri settori sociali (disoccupazione, ecc) le tutele e l’assistenza che le norme prevedono per i disabili (le certificazioni) sono un buon sistema per etichettare le diversità e così “rassicurare” il sistema fatto di persone “normali”? Oppure offrono delle opportunità di apprendimento ed integrazione dei ragazzi?
  • Oltre a quello che può/deve fare l’assistenza pubblica (il c.d. stato sociale) c’è un livello di relazione personale che dobbiamo curare maggiormente? Come dice Levinas … dare sempre un volto all’altro? E vedere nell’altro il volto dell’unico Dio?
B) La paura del “Gender”..
Ovvero … paura, diffidenza per le manifestazioni sull’identità “di genere” strane, non codificate, non consuete. Ritenute moralmente discutibili se associate ad una vita sessuale “non conforme” ai canoni tradizionali (eterosessualità e matrimonio). l’idea che passa è quella della sregolatezza e trasgressione che sfuggono al controllo delle convenzioni consolidate.
Si dice: “La società che era il nostro fondamento si sta dissolvendo, nemmeno il sesso si salva …”.
Paura di un mondo che nella sua imprevedibilità ci mette ansia, perché il futuro nostro o dei nostri figli, può nascondere minacce e incognite.
  • Si tratta di una paura concreta che si traduce in azioni? Conosciamo alcuni esempi di ostilità verso questo pensiero?
  • Su questo tema nutriamo delle paure che possono riguardare il futuro dei nostri figli? Temiamo per quelle che potranno essere le loro scelte?
«l’identità di genere è un processo che comincia con la consapevolezza di appartenere all’uno o all’altro sesso e che lungo l’arco della vita subisce continui aggiustamenti e ridefinizioni. Il ‘genere’ è una costruzione sociale e non un dato biologico immutabile».

Sono argomenti che si possono affrontare con la dovuta serietà scientifica evitando stereotipi, discriminazioni e i tanti pregiudizi ricavati dalla non conoscenza dell’argomento. La diversità è tutto ciò che non siamo noi. 
Perché giudicare ‘diverso’ chi è semplicemente normale, se conformato al resto dell’umanità? Commettiamo un errore nell’attribuire alla parola “diverso” un significato negativo. Una paura che subiamo per il semplice fatto che sono gli altri a farcela provare. Il diverso fa paura perché non lo “conosciamo” e non vogliamo conoscerlo.

C) La xenofobia

Nessuno nasce odiando qualcun altro per il colore della pelle, il suo ambiente sociale o la sua religione. Le persone odiano perché hanno imparato a odiare, e se possono imparare a odiare possono anche imparare ad amare, perché l’amore arriva in modo più naturale nel cuore umano che il suo opposto”. Queste parole sono di Nelson Mandela e ci devono far riflettere.

Un nuovo modo di pensare all’altro senza paure: l’antropologia della condivisione

Proponiamo alcune considerazioni che ci sono piaciute perché secondo noi hanno il pregio di ridimensionare le paure (o i nostri egoismi?) partendo proprio da una differente impostazione culturale ed etica.
L’espressione “centralità dell’io” pone come valore assoluto l’autoaffermazione di sé, e questa è stata la filosofia che ha dominato tutto il secolo scorso con le conseguenze estreme che la storia ci ha dimostrato.
Siamo diventati forse prigionieri di una visione antropologica che ritiene naturale l’avere invece del condividere, la competizione invece della solidarietà, la privatizzazione invece della corresponsabilità, individualismo invece della comunione.
Abbiamo sperimentato nella storia che il dominio dell’IO può portare ad aberrazioni a soprusi. Se le paure prevaricano la nostra vita
Forse dovremmo considerare (come sta avvenendo tra pensatori contemporanei) che un vero cambiamento storico si può raggiungere solo attraverso un cambiamento dei rapporti umani e dunque attraverso una svolta culturale. Bisogna incominciare a ripensare ad un discorso sull’uomo che spezzi il cerchio del dominio sulla natura sulle cose sull’altro uomo.
La necessità di riscoprire la bellezza del creato in cui siamo stati posti, il rispetto e la valorizzazione delle diversità e delle differenze, la scoperta del significato del “prendersi cura di”.
Significa che:
  • essere nel mondo non significa semplicemente vivere nella natura e nella realtà, vuol di re di più: coesistere, convivere, costruire il proprio essere attraverso una comunione di relazioni con le cose e con gli altri
  • la dimensione dell’altro diventa un valore! Il volto dell’altro è un continuo appello alla nostra coscienza a fare una scelta di fondo (una conversione) : o il nostro egoismo la nostra responsabilità per le sorti dell’altro da me.
  • Etica della responsabilità. La coscienza è uno dei concetti fondamentali della filosofia occidentale, è alla base della visione dell’uomo… il famoso “conosci te stesso”. Da questo concetto il pensiero ha sviluppato altri concetti: quello che le norme etiche trovano fondamento nella ragione, e quello di “autonomia” dell’uomo. l’uomo che crea la propria legge.
  • Ma se solo partiamo dalla constatazione che nasciamo in un mondo pieno di Altri da noi che ci hanno preceduto e generato… se siamo nati creature… vuol dire che viviamo nella relazione.
  • Allora il rapporto Io -Altro deve essere bilanciato: depotenziare un po' sé e mettersi in relazione.


per riflettere …
  • Quante altre “diversità” ci vengono alla mente oltre a quelle indicate ? come le affrontiamo?
  • Esempio: in casa ci si trova a parlare linguaggi che sembrano incomprensibili: è possibile costruire un dialogo aperto che rispetti e accolga i diversi punti di vista e metta al primo posto la relazione e l’arricchimento reciproco?
  • Proviamo a cambiare prospettiva secondo un approccio di responsabilità verso l’altro partendo da una situazione che abbiamo in mente …..

COSA CI INSEGNA IL VANGELO?

Mt 14,22-33
In quel tempo, 22 subito dopo l'episodio dei pani, Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull'altra riva, finché non avesse congedato la folla. 23 Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. 24 La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. 25 Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. 26 Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. 27 Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». 28 Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». 29 Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 30 Ma, vedendo che il vento era forte, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». 31 E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». 32 Appena saliti sulla barca, il vento cessò. 33 Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».

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